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Nei
testi di storia della letteratura italiana,
Giovanni Marradi (1852 - 1922) è
citato solo dal Cappuccio, che lo inserisce
fra gli imitatori di Carducci, subito
dimenticati. In effetti, egli stesso si
considerò affetto da "carduccite
acuta".
Abitava in via Ricasoli, al numero diciotto,
era snello, con occhi cerulei un po' slavati,
il modo di fare elegante e un po' blasè
da intellettuale che vuol rapportarsi
solo ai suoi pari. Amico di Renato
Fucini, provveditore agli studi nella
nostra città, fu poeta risorgimentale,
noto con lo pseudonimo di labronio, celebre
per temi patriottici, come nelle poesie
dedicate all'eroe dei due mondi, le "Rapsodie
garibaldine".
Quella in morte di Anita Garibaldi, ha
qualcosa, seppur in tono minore, dell'Adelchi
manzoniano.
E
Anita muore. Quella bruna testa,
che passò fra i baleni alta e tranquilla
sotto un perpetuo rombo di tempesta,
langue riversa, mentre il vespro brilla,
sopra un guancial pietoso, aprendo immota
sul dolce Eroe la vitrea pupilla.
Fissando
ancor la cara faccia nota,
ecco velarsi l'occhio moribondo
che in una lenta lacrima le nuota,
e tutto, a quel velato occhio profondo,
impallidire su la ravegnana
pineta il cielo e scolorire il mondo.
Come
un lamento d'anima lontana,
per la penombra che quieta scende,
piange per l'aria un pianto di campana.
Anita muore. Levasi e s'accende
quel cereo viso a un tratto: al guarda
inerte
forse un' estrema vision risplende.
Oh
verdi, interminabili, deserte
distese della Pampa! Oh pascolanti
saure, del fren della sua mano esperte!
vi ella crebbe con l'alte erbe ondanti,
ivi Ei le apparve, biondo come il sole,
e la guardò cogli occhi scintillanti
...
Sfumavasi
in pallori di viole
l'adriaco vespro, e all'amor suo nel petto,
fra quell'umide mura ignote e sole,
ella piegò. Con ansioso affetto,
ei la chiamò, chiamò con
passione
impetuosa il bel nome diletto:
e in desolata disperazione
la violenza del compresso duolo
dal cuor gli uscì. Quel core di
leone
poteva ormai ben piangere: era solo.
Le
rapsodie furono composte a Castiglioncello,
nella villa Foraboschi di Caletta, dove
il Marradi trascorreva le vacanze estive,
ed ebbero grande successo di pubblico,
sulla spinta degli ancor freschi ideali
risorgimentali, venendo adottate in tutte
le scuole del regno.
Ma il Marradi più alto è
quello intimo, privato, domestico. Le
liriche composte dopo la morte della sorella
ventenne Itala, o quelle per Lilia, la
compagna di tutta la vita, la moglie amata
dai biondi capelli e dagli occhi di velluto,
o, infine, le poesie che descrivono le
marine e i paesaggi toscani, ne fanno
a pieno titolo un rappresentante della
scapigliatura fiorentina, un "poeta
mèro", cioè puro, come
lo definì Carducci stesso. Utilizzò
vari modelli poetici, dal sonetto, alla
ballata, alla canzone, perché non
desiderava chiudersi in una forma fissa
Fu anche critico letterario, e avversò
l'estetismo di D'Annunzio.
Quando morì, Livorno gli tributò
tutti gli onori del caso e la sua salma
fu traslata nel famedio del santuario
di Montenero, dove è visibile un
busto dello scultore Fioravanti a lui
dedicato.
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