Patrizia Poli presenta
Giovanni Marradi

Dopo la neve

E al sole or brilla, fredda primavera,
un fiorir bianco d'orti e di giardini,
e i monti, in giro, splendono argentini
al mite sol che nell'azzurro impera.

E tutta a lui, dalla sua bianca faccia,
ride la terra un riso d'oro. O sole,
scalda col raggio tuo gl'inverni crudi.

E tu, provvida neve, i germi schiudi
per cui sudaron tante braccia umane,
sì che la terra pia maturi il pane
alla prole dell'uom, che attende e spera.

 








Nei testi di storia della letteratura italiana, Giovanni Marradi (1852 - 1922) è citato solo dal Cappuccio, che lo inserisce fra gli imitatori di Carducci, subito dimenticati. In effetti, egli stesso si considerò affetto da "carduccite acuta".
Abitava in via Ricasoli, al numero diciotto, era snello, con occhi cerulei un po' slavati, il modo di fare elegante e un po' blasè da intellettuale che vuol rapportarsi solo ai suoi pari. Amico di Renato Fucini, provveditore agli studi nella nostra città, fu poeta risorgimentale, noto con lo pseudonimo di labronio, celebre per temi patriottici, come nelle poesie dedicate all'eroe dei due mondi, le "Rapsodie garibaldine".

Quella in morte di Anita Garibaldi, ha qualcosa, seppur in tono minore, dell'Adelchi manzoniano.

E Anita muore. Quella bruna testa,
che passò fra i baleni alta e tranquilla
sotto un perpetuo rombo di tempesta,
langue riversa, mentre il vespro brilla,
sopra un guancial pietoso, aprendo immota
sul dolce Eroe la vitrea pupilla.

Fissando ancor la cara faccia nota,
ecco velarsi l'occhio moribondo
che in una lenta lacrima le nuota,
e tutto, a quel velato occhio profondo,
impallidire su la ravegnana
pineta il cielo e scolorire il mondo.

Come un lamento d'anima lontana,
per la penombra che quieta scende,
piange per l'aria un pianto di campana.
Anita muore. Levasi e s'accende
quel cereo viso a un tratto: al guarda inerte
forse un' estrema vision risplende.

Oh verdi, interminabili, deserte
distese della Pampa! Oh pascolanti
saure, del fren della sua mano esperte!
vi ella crebbe con l'alte erbe ondanti,
ivi Ei le apparve, biondo come il sole,
e la guardò cogli occhi scintillanti ...

Sfumavasi in pallori di viole
l'adriaco vespro, e all'amor suo nel petto,
fra quell'umide mura ignote e sole,
ella piegò. Con ansioso affetto,
ei la chiamò, chiamò con passione
impetuosa il bel nome diletto:
e in desolata disperazione
la violenza del compresso duolo
dal cuor gli uscì. Quel core di leone
poteva ormai ben piangere: era solo.

Le rapsodie furono composte a Castiglioncello, nella villa Foraboschi di Caletta, dove il Marradi trascorreva le vacanze estive, ed ebbero grande successo di pubblico, sulla spinta degli ancor freschi ideali risorgimentali, venendo adottate in tutte le scuole del regno.
Ma il Marradi più alto è quello intimo, privato, domestico. Le liriche composte dopo la morte della sorella ventenne Itala, o quelle per Lilia, la compagna di tutta la vita, la moglie amata dai biondi capelli e dagli occhi di velluto, o, infine, le poesie che descrivono le marine e i paesaggi toscani, ne fanno a pieno titolo un rappresentante della scapigliatura fiorentina, un "poeta mèro", cioè puro, come lo definì Carducci stesso. Utilizzò vari modelli poetici, dal sonetto, alla ballata, alla canzone, perché non desiderava chiudersi in una forma fissa
Fu anche critico letterario, e avversò l'estetismo di D'Annunzio.
Quando morì, Livorno gli tributò tutti gli onori del caso e la sua salma fu traslata nel famedio del santuario di Montenero, dove è visibile un busto dello scultore Fioravanti a lui dedicato.

 

 
 

IL QUINTOMORO
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