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Patrizia
Poli presenta
Renato
Fucini .:. Opere
a cura di Davide Puccini -
Edizioni Le Lettere |
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Giovedì
8 novembre, nella sala conferenze della Biblioteca
labronica F.D. Guerrazzi, si è svolta la
presentazione del volume "Renato Fucini -
Opere", edizioni Le Lettere. Ne ha parlato
diffusamente il curatore, Davide Puccini, saggista,
fine studioso, ma soprattutto appassionato di
letteratura italiana. La sua operazione, ha spiegato,
deriva dalla necessità di riproporre un
autore ormai dimenticato, di cui non si trovano
più le opere.
L'unico libro ancora in circolazione contiene
circa 5000 errori su 1000 pagine. I testi di Fucini
sono stati mal compresi, rovinati dai parenti,
dagli stampatori, di edizione in edizione. Puccini
ha dovuto risalire ai manoscritti, contenuti nelle
biblioteche fiorentine, e compiere un'opera certosina
di ricostruzione dell'originale.
Il volume è ponderoso, consta di circa
700 pagine e raccoglie tutte le opere pubblicate
in vita da Renato Fucini, non le postume, ritenute
inferiori. Comprende cento sonetti in vernacolo
pisano più altri in lingua, tutte le novelle
raccolte ne Le veglie di Neri (1882), All'aria
aperta (1897) e Nella campagna toscana (1908)
e il saggio Napoli ad occhio nudo (1878).
Davide Puccini ha dedicato cinque anni di lavoro
all'opera di Fucini e, come abbiamo detto, ha
affrontato la materia soprattutto dal punto di
vista filologico. Spesso gli stampatori non comprendevano
i vocaboli del vernacolo pisano. Sceglievano la
lectio facilior, correggevano bimbino con bambino,
sterzatori (chi puliva un albero su tre) con sterratori,
rovinando un testo che aveva valore proprio per
la precisione etnografica: Fucini, infatti, non
sceglieva mai i suoi termini a caso, ma li usava
perché erano tipici del luogo di cui stava
narrando o poetando. |
Nel
volume sono contenute molte pagine di bibliografia,
Davide Puccini ha rintracciato tutte le edizioni
- al punto che è stato in grado, al termine
dell'esposizione, di valutare al primo sguardo
un libriccino di nostro possesso e datarlo agli
inizi del novecento come edizione contenente almeno
una trentina di errori.
Ma Puccini ha compiuto anche un'opera di rivalutazione
contro quella critica che, dopo la morte di Renato
Fucini, ne decretò la lenta decadenza e
il ridimensionamento a esponente "minore
della letteratura."
In vita, Fucini ebbe grande successo. A Firenze,
allora capitale d'Italia, al caffè Michelangelo,
meta di artisti come Edmondo de Amicis (che ha
scritto la prefazione proprio all'edizione in
nostro possesso) la lettura dei sonetti in vernacolo,
che scriveva per divertirsi, ebbe il successo
che oggi hanno gli interventi di Benigni. Poi
li pubblicò a sue spese e fu un best seller.
Fucini era consapevole dei propri limiti, sapeva
di non avere il respiro lungo del romanziere,
bensì il fiato corto del novellatore e,
tuttavia, una volta pubblicate, le sue opere ebbero
risonanza anche fuori della Toscana, furono adottate
nella scuola fino agli anni trenta e Croce ne
scrisse in modo lusinghiero. Ma dopo, lentamente,
su Fucini calò l'oblio e non solo, fu oggetto
delle critiche di molti personaggi famosi come
Cassola, che lo stroncò nella prefazione
ad un edizione BUR. Nel sessantotto fu considerato
reazionario, poco attento alla questione sociale,
laddove, invece, egli fu mazziniano e garibaldino,
impregnato degli ideali risorgimentali che vedeva
traditi. Nei sonetti, ma soprattutto in novelle
come "Vanno in Maremma", si sente tutta
la sua dolente partecipazione alla miseria degli
umili, la comprensione del fenomeno dall'interno,
evitando il difetto della letteratura popolaresca
(come quella, ad esempio, di Lorenzo il Magnifico).
Fu
accusato anche di aver scelto una lingua
troppo facile, il toscano, non si capisce
cosa avrebbe dovuto fare, visto che le sue
novelle sono ambientate principalmente in
maremma.
I sonetti sono classici come struttura ma
originali come contenuto, perché
dialogati, mossi, con battute e vari personaggi
fra i quali Neri Tanfucio, lo pseudonimo
adottato da Fucini per pubblicare, che ritroviamo
ogni volta come personaggio differente.
Le poesie sono d'ambiente pisano e fiorentino,
popolate di caratteri umili, beceri, degradati;
sono spassose, ferocemente allegre ma sempre
con una nota amara e triste. (Vedi La mamma,
il bimbo e l'amia)
La lingua è un vernacolo che, spesso,
ha più del livornese che del pisano.
Puccini cita i fenomeni del labdacismo (la
elle che diventa erre) e dell'ipercorrettismo
(dove si sbaglia per paura di sbagliare).
Renato Fucini nacque nel 1843 a Monterotondo,
nella Maremma grossetana, dove il padre
David, medico, si era stabilito per la cura
delle febbri malariche, ma era livornese
di famiglia e si sentiva molto legato alla
nostra città, dove frequentò
le scuole elementari dei Barnabiti. |
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Visse a Livorno dal 1849 al 1853 - nella città
appena riconquistata dagli austriaci dopo i moti
del 48 - e, proprio leggendo un poemetto manoscritto
in vernacolo livornese, ebbe l'idea di compiere
la stessa operazione con quello pisano. Fucini
frequentava i macchiaioli a Castiglioncello, dove
possedeva una casa, e, in particolar modo, fu
amico di Giovanni Fattori al quale fornì
ispirazione per il quadro "Lo staffato".
Ma le sue frequentazioni sono più ampie
e non riguardano solo l'ambito toscano. Oltre
al già citato Edmondo de Amicis, fu amico
anche di Verga, di cui assorbì il naturalismo.
Un discorso a parte merita "Napoli ad occhio
nudo", reportage commissionatogli da P.Villari,
il primo in Italia a far conoscere l'esistenza
di una "questione meridionale". Senza
dilungarci, diremo che Fucini seppe cogliere al
primo sguardo l'essenza della città, con
la quale entrò subito in empatia, comprendendo
il fenomeno della camorra in modo non superficiale
e raccontando gli aspetti più crudi, dai
"talponi" (confronta il livornese tarpone),
cioè le pantegane che affollavano fogne
e vicoli, al cimitero con 365 fosse, una per ogni
giorno dell'anno, in cui i morti erano gettati
dall'alto con una carrucola, senza tante cerimonie.
In conclusione, se il saggio sull'umorismo di
Pirandello è ancora di là da venire,
possiamo affermare, tuttavia, che quella di Fucini
fu senz'altro una comicità che "fa
pensare".
Fucini morì a Empoli, nel 1921 per un cancro
alla gola. |
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