Le stesse frasi che diceva babbo quando
si usciva la domenica ed andavamo alla Upim
e poi da Torricelli. Cioccolata in tazza e la
fila per pesarsi su quella bella bilancia che
a me sembrava un robottone, di quelli che andavano
di moda nei film dell’epoca, importati
da un’America che vedeva comunisti da tutte
le parti. Forse in quegli anni i giocattoli
made in Usa erano così mostruosi perché
era un modo per esorcizzare il comunismo. Stalin
invece non faceva giocattoli del vile capitalimperialismo
ma pupazzi di ghiaccio…con uomini veri,
in Siberia.
Cose dette, ridette.
Ma provatevi un po’ voi a scrivere qualcosa
di nuovo sul Natale. Forse se si ricorda che
Gesù bambino viene fatto nascere il 25
dicembre perché così anche quelli
che credevano nel Dio Sole, il sole invicto
tanto caro a quel furbacchione di Costantino
convertito al cristianesimo forse solo in punto
di morte quando non capiva più nulla,
avrebbero festeggiato il compleanno e tutti
sarebbero stati contenti nell’Impero.
O parlare del Natale dei buoni, con tanti buoni
che ricordano che il presepe l’ha inventato
San Francesco ma che non sanno che il patrono
d’Italia è morto disperato perché
il suo messaggio veniva distorto e strumentalizzato
già quando era in vita.
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Non sanno che il dialogo con gli uccelli,
visto che Francesco era sì un po’
strano oltre che eccezionale ma che non
era pazzo è stata solo una provocazione.
Sì, la biografia, quella fatta bruciare
a più riprese, racconta un’altra
verità di quando fu cacciato dal
papa al quale voleva dare una lezione di
umiltà presentandosi tutto sudicio
e vestito di saio. “Vattene dai
porci tuoi pari”, gli dice il vescovo
di Roma senza sapere che bestemmiava perché
ancora il Santo era più in odore
di eresia che di altari per la Chiesa ufficiale.
Ed il grande Francesco va via e si mette
a predicare ad un gruppo di corvacci che
mangiano i resti dei cadaveri di un antico
cimitero, poco fuori dal Vaticano (che non
era grande come adesso perché i soldi
della vendita delle indulgenze non c’erano
ancora). “Guardate fratelli miei,
il papa non vuole vederci ed io, vivente
nella povertà insegnatami dal Cristo
parlo a questi esseri immondi. Loro mi ascolteranno”.
Ed i corvi, beccando un occhio spento e
ingozzando un pezzo di carne marcia si avvicinano
davvero. Per poco Francesco non finisce
sul rogo come accadrà poi a diversi
suoi fraticelli meno popolari di lui. La
Chiesa capisce presto il valore ed il pericolo
di quell’uomo ed adotta quella volta,
come altre, il machiavellico proverbio:
se non puoi uccidere il tuo nemico, unisciti
a lui. E sorge il grande complesso di Assisi.
Poi in parte crollato: “Chissà,
forse è un segno del Santo”
ammonì Vittorio Sgarbi dopo la disgrazia.
Boh! |
Poi
dopo l’Ipercoop o quando il bimbo è
malato, eccoci davanti alla televisione a vedere
dibattiti su come si fa il presepe, per capire
se la Madonna e quel poveraccio di San Giuseppe
è bene stiano vicini o lontani dal caminetto
dal quale nonno-babbo Natale scende (a proposito
ma chi ce l’ha le case col caminetto?)
e per non farsi male atterra sul panettone,
gli casca la barba, pesta a sangue due ladri
rincoglioniti che poi però invita a pranzo
perché è festa per tutti.
Ed i livornesi rivanno all’Ipercoop nell’attesa
che si costruiscano la Porta a Mare ed il nuovo
centro ovvero si mangi dove si può, nell’edilizia,
visto che non c’è rimasto altro:
il porto non dà più superprofitti
né possibilità di grossi saccheggi,
le aziende pubbliche non possono fare sprechi,
le grandi industrie sono sparite, il centro
chiude botteghe ogni giorno. Ed allora dài,
allora dài coi soldi di nonno e non delle
banche che non prestano più neanche per
il mattone. Ora chi comprerà le case
e chi andrà a spendere in quei futuri
supermercati?.
Ma intanto ecco Natale. E se non la smetto mi
sa che mi passa davvero la voglia di tuffarmi
nel gomitolo di strade e nei corridoi dell’Ipercoop.
Comunque auguri (si dice così vero?)
di buone feste, “la mi’ mamma
mi riveste, mi riveste di celeste….Buon
Natale e buone feste”.
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