di Maurizio Silvestri
Nonostante tutto...
Buon Natale, Livorno


“Natale. Non ho voglia di tuffarmi
in un gomitolo di strade.
Ho tanta stanchezza sulle spalle.
Lasciatemi così, come una cosa posata
in un angolo e dimenticata”.

Mamma mia che sgomento caro il mio poeta. Vabbè Giuseppe (Ungaretti) che c’è la crisi, di soldi ne girano pochi e che all’Ipercoop abbiamo già speso quello che è rimasto della tredicesima ed ora ci andiamo solo per stare al calduccio e guardare la merce esposta negli scaffali ed incontrare qualche amico che tanto a Livorno siamo rimasti talmente in pochi che ci si trova sempre. Prima siamo sul mare con i bimbi che rompono poi si va in quel che rimane del centro ed alla fine via, tutti alla Porta a terra a guardare chi c’è. “Ciao anche te qui? Ma guarda c’è anche…” E come ci si meraviglia. E si ridice: “Ma a Livorno ci si conosce proprio tutti. Siamo proprio in un paesone”.


Le stesse frasi che diceva babbo quando si usciva la domenica ed andavamo alla Upim e poi da Torricelli. Cioccolata in tazza e la fila per pesarsi su quella bella bilancia che a me sembrava un robottone, di quelli che andavano di moda nei film dell’epoca, importati da un’America che vedeva comunisti da tutte le parti. Forse in quegli anni i giocattoli made in Usa erano così mostruosi perché era un modo per esorcizzare il comunismo. Stalin invece non faceva giocattoli del vile capitalimperialismo ma pupazzi di ghiaccio…con uomini veri, in Siberia.

Cose dette, ridette.
Ma provatevi un po’ voi a scrivere qualcosa di nuovo sul Natale. Forse se si ricorda che Gesù bambino viene fatto nascere il 25 dicembre perché così anche quelli che credevano nel Dio Sole, il sole invicto tanto caro a quel furbacchione di Costantino convertito al cristianesimo forse solo in punto di morte quando non capiva più nulla, avrebbero festeggiato il compleanno e tutti sarebbero stati contenti nell’Impero.

O parlare del Natale dei buoni, con tanti buoni che ricordano che il presepe l’ha inventato San Francesco ma che non sanno che il patrono d’Italia è morto disperato perché il suo messaggio veniva distorto e strumentalizzato già quando era in vita.

Non sanno che il dialogo con gli uccelli, visto che Francesco era sì un po’ strano oltre che eccezionale ma che non era pazzo è stata solo una provocazione. Sì, la biografia, quella fatta bruciare a più riprese, racconta un’altra verità di quando fu cacciato dal papa al quale voleva dare una lezione di umiltà presentandosi tutto sudicio e vestito di saio. “Vattene dai porci tuoi pari”, gli dice il vescovo di Roma senza sapere che bestemmiava perché ancora il Santo era più in odore di eresia che di altari per la Chiesa ufficiale. Ed il grande Francesco va via e si mette a predicare ad un gruppo di corvacci che mangiano i resti dei cadaveri di un antico cimitero, poco fuori dal Vaticano (che non era grande come adesso perché i soldi della vendita delle indulgenze non c’erano ancora). “Guardate fratelli miei, il papa non vuole vederci ed io, vivente nella povertà insegnatami dal Cristo parlo a questi esseri immondi. Loro mi ascolteranno”. Ed i corvi, beccando un occhio spento e ingozzando un pezzo di carne marcia si avvicinano davvero. Per poco Francesco non finisce sul rogo come accadrà poi a diversi suoi fraticelli meno popolari di lui. La Chiesa capisce presto il valore ed il pericolo di quell’uomo ed adotta quella volta, come altre, il machiavellico proverbio: se non puoi uccidere il tuo nemico, unisciti a lui. E sorge il grande complesso di Assisi. Poi in parte crollato: “Chissà, forse è un segno del Santo” ammonì Vittorio Sgarbi dopo la disgrazia. Boh!

Poi dopo l’Ipercoop o quando il bimbo è malato, eccoci davanti alla televisione a vedere dibattiti su come si fa il presepe, per capire se la Madonna e quel poveraccio di San Giuseppe è bene stiano vicini o lontani dal caminetto dal quale nonno-babbo Natale scende (a proposito ma chi ce l’ha le case col caminetto?) e per non farsi male atterra sul panettone, gli casca la barba, pesta a sangue due ladri rincoglioniti che poi però invita a pranzo perché è festa per tutti.

Ed i livornesi rivanno all’Ipercoop nell’attesa che si costruiscano la Porta a Mare ed il nuovo centro ovvero si mangi dove si può, nell’edilizia, visto che non c’è rimasto altro: il porto non dà più superprofitti né possibilità di grossi saccheggi, le aziende pubbliche non possono fare sprechi, le grandi industrie sono sparite, il centro chiude botteghe ogni giorno. Ed allora dài, allora dài coi soldi di nonno e non delle banche che non prestano più neanche per il mattone. Ora chi comprerà le case e chi andrà a spendere in quei futuri supermercati?.
Ma intanto ecco Natale. E se non la smetto mi sa che mi passa davvero la voglia di tuffarmi nel gomitolo di strade e nei corridoi dell’Ipercoop.

Comunque auguri (si dice così vero?) di buone feste, “la mi’ mamma mi riveste, mi riveste di celeste….Buon Natale e buone feste”.

 
 

IL QUINTOMORO
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