Ode
al ruffiano (1992)
C'è una cosa che mi consta
in trentanni di carriera:
che, neanche a farlo apposta,
il ruffiano ha la maniera
d'ottener ciò che gli piace
pur essendo un incapace.
Il
ruffiano ottiene tutto
quando chiede assiduamente;
basta dica: bello al brutto,
al cretino intelligente
salvo fare giravolta
quando cambia chi l'ascolta.
Ma
chi è ben pettinato,
con la barba sempre fatta,
sorridente e profumato,
col vestito e la cravatta
e la mano sul cappello?
Il ruffiano, sempre quello!
Ma
chi sta, pur tuttavia,
senza donne e senza amici,
senza alcuna compagnia
che d'oggetti, cani e mici
non mettendo a dura prova,
mai, le molle dell'alcova?
La
risposta si conosce:
è quel verme solitario
che di notte sogna cosce
dal suo harem immaginario
e di giorno fa il progetto
di ficcartelo nel retto.
E
quand'anche avesse al fianco
una donna senza gusto,
che lo mandi sempre in bianco
come a noi ci pare giusto,
non sarebbe, è risaputo,
che un grandissimo cornuto.
Lui,
vissuto di blandizie,
quarantenne e senza stima,
creperà fra le immondizie
come il verme di cui prima
col sollievo e col buon prò
degli stessi che adulò.