
Tra queste mura, il 21 gennaio 1921,
nacque il Partito Comunista Italiano
avanguardia della classe operaia
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Alla testa della democrazia,
nella ventennale battaglia contro il fascismo,
popolò dei suoi migliori le carceri e i campi
di guerra
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Sorretto dalla ideologia di Marx, di Engels, di Lenin
e Stalin, dall'esempio di Gramsci, sotto la guida di
Togliatti
prosegue la lotta per rompere le catene di un duro servaggio,
per la pace e l'indipendenza d'Italia nella realtà
del Socialismo.
i
comunisti livornesi nel 28° anniversario
1921: il Teatro Goldoni
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La nascita del Partito comunista in Italia
Il 21 gennaio del 1921 nel teatro S.Marco di Livorno
nacque il Partito Comunista d’Italia (Pcd’I)
sezione italiana della III Internazionale. Il luogo
che avrebbe dato i natali a quello che in futuro sarebbe
diventato il più grande ed importante partito
comunista dell’Europa occidentale, era stato utilizzato
durante la guerra appena conclusa come deposito e si
presentava, come ricordò Terracini, come un luogo
angusto, senza luce, privo di sedie e di panche, con
finestre senza vetri ed il tetto sfondato. Coloro che
costituirono il Pci furono una minoranza dei delegati
del XVII Congresso del Psi, che si tenne in quei giorni
a Livorno in un altro teatro, il Goldoni.
Il
Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo
un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21
condizioni per l’adesione all’Internazionale
Comunista, di espellere i membri della corrente riformista
del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783
iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni
riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo “astensionista”
che faceva capo a Bordiga, futuro primo leader del
nuovo Partito, dal gruppo dell’Ordine Nuovo di
Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca, dalla corrente
massimalista di Marabini e Graziadei e dalla stragrande
maggioranza della Federazione giovanile socialista.
Questi gruppi oltre a dichiarare la nascita del nuovo
partito elessero anche un primo Comitato Centrale,
nel quale erano ben visibili i rapporti di forze interni.
Le
cause che provocarono la scissione del Psi vanno ricercate
in primo luogo oltre i confini italiani. Infatti erano
diventate fortissime le pressioni del nuovo centro
mondiale della politica comunista, la Terza Internazionale,
che era nata a Mosca nel 1919 e che, essendo certa
della possibilità di esportare in tutta Europa
il proprio modello vincente, con le 21 condizioni
che poneva per l’adesione alla stessa, chiedeva,
oltre che l’epurazione delle correnti riformiste,
l’assunzione del nome comunista in luogo di quello
socialista. Ma se è indubbio che la Rivoluzione
d’Ottobre facesse da catalizzatore, in tutti
i paesi, per i settori più rivoluzionari dei
partiti operai, allo stesso tempo non possono essere
dimenticate le particolarità del Psi, che si
era già caratterizzato per un proprio atteggiamento
autonomo durante la I Guerra Mondiale, quando diversamente
dagli altri partiti socialisti europei che appoggiarono
le rispettive borghesie, lanciò la parola d’ordine
“né aderire né sabotare”.
All’interno
del Partito, si erano acuite, anche a causa della
situazione post bellica, le divisioni politiche
tra le tre correnti principali: la destra riformista
e socialdemocratica di Turati, i massimalisti
di Serrati, che erano la vera maggioranza del
Partito, e la componente di Bordiga e Gramsci.
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Ma
come ricorda Agosti, l’analisi teorica fu sempre
piuttosto carente nei socialisti di quel periodo,
che amavano parlare di rivoluzione, senza mai, ed
in questo era chiara la differenza con i bolscevichi,
preoccuparsi di discutere di cosa fare per arrivarci,
magari confidando nell’ineluttabilità
della stessa.
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