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Patrizia
Poli presenta
Associazione
culturale
Giosuè BORSI
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Giosuè Borsi
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"Città giovine e forte, che il divino
mare accarezza, il vasto ed alto sole,
a Te che cresci in opulenza, vale!
A Te, per carità di Te, m'inchino!"
(Dal sonetto "Alla città
natale" di Giosuè Borsi)
L'associazione culturale Giosuè Borsi
è nata nel 2004 come continuazione del
gruppo omonimo, attivo in città dal 1988,
in occasione del primo centenario della nascita
del poeta. Inizialmente si è occupata
di custodire i cimeli del nostro concittadino,
prima conservati in un piccolo museo, ora chiuso.
Con il riconoscimento del Comune di Livorno,
ha la custodia etica del Famedio di Montenero,
che raccoglie resti e ricordi dei livornesi
illustri. L'associazione, con sede in via delle
Medaglie d'Oro 6, mantiene vivo il ricordo di
Giosuè Borsi (1888 - 1915) e promuove
conferenze e studi sulla storia della città
e sui suoi personaggi dimenticati. Pubblica
con cadenza semestrale la rivista "La Torre"
e ha provveduto a far ristampare numerose opere
di borsiane.
Il presidente dell'associazione, Carlo Adorni,
ha curato un'antologia intitolata "Omaggio
a Giosuè Borsi" con prefazione del
compianto professor Loi, di cui
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abbiamo
un ammirato ricordo come nostro insegnante
di storia. L'antologia, edita nel 2007
dalla casa editrice "Il Quadrifoglio"
e corredata di bellissime foto, contiene
versi da varie raccolte - fra le quali
Primus Fons - alcune interpretazioni dantesche
- di cui Borsi era appassionato e fine
dicitore - il famoso Testamento spirituale,
esempio elevato di scrittura religiosa,
e L'ultima lettera alla madre, il suo
momento poetico più alto.
Come evidenza Loi, Arte, Patria e Religione
furono i tre motivi ispiratori dell'opera
borsiana, seppur egli non sia stato poeta
"di grande ala". Dopo una vita
di piaceri, vissuta con senso di colpa,
dopo essere cresciuto all'ombra degli
ideali carducciani e classicisti paterni,
dopo aver bramato per se stesso l'amore
della donna e la gloria dell'artista,
Borsi ebbe una profonda conversione spirituale
che lo avvicinò al cristianesimo.
Il testamento spirituale è una
conferma di quanto egli abbia sentito,
pur nella sua beve esistenza, la vanità
e il peso delle cose terrene. Il dolore
lo ha colpito, attraversato, prostrato,
con colpi ripetuti e brutali: la morte
del padre, della sorella Laura e del nipotino
nato dalla relazione di questa con il
figlio di D'Annunzio.
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Ma
nella sua morte in battaglia, ricercata,
ambita, desiderata, c'è molto di
decadente, l'ultima pennellata wildiana
o dannunziana data ad una vita artistica,
sublimata, però, e illuminata, dalla
spiritualità, da una ricerca di purezza
francescana. La morte è bella, è
fausta, perché consegna alla gloria,
rende leggendari, redime dai peccati e,
tuttavia, in questa morte intesa come coronamento
più che come rinunzia, scompare il
terziario francescano, il rinunciante, e
riaffiora il superuomo nietzschiano.
"Lascio la caducità, lascio
il peccato, lascio il triste ed accorante
spettacolo dei piccoli e momentanei trionfi
del male sul bene: lascio la mia salma umiliante,
il peso grave di tutte le mie catene, e
volo via, libero, libero, finalmente libero,
lassù nei cieli dove è il
padre nostro, lassù dove si fa sempre
la sua volontà." (pag 172)
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