Ermanno Volterrani per Livorno Magazine
Il dilemma: vernacolo o lingua?


Raccolta di sonetti di Cangillo


Il grande Gino Lena
in un dipinto del pittore Marc Sardelli



Albertina Taccini in arte Tina Andrey

Perché scrivere? Ma perché molti di noi sentono la necessità di esprimere le proprie sensazioni, le proprie emozioni e condividerle, lasciandone traccia nel futuro più o meno prossimo, alla ricerca di una sorta di "immortalità", un'impronta del proprio passaggio in questo mondo crudele, quasi un'alternativa alla continuità genetica che già la natura ci concede con il concepimento di figli.

Ai primi approcci viene naturale esporre argomenti tratti da esperienze personali, più o meno adattate o romanzate o "poetizzate", mi sia concesso il termine, in relazione allo stato d'animo del momento in cui riaffiorano i ricordi. E qui non si pone il dilemma del linguaggio prevalendo la tendenza espressiva della stragrande maggioranza degli autori - con le debite eccezioni - che ognuno è abituato a leggere e che, oltretutto, rappresenta quel linguaggio "ufficiale" che fin dalle elementari abbiamo appreso con tanta fatica. L'autore si concentra allora sull'applicazione di ferree regole grammaticali, sintattiche oltre che ortografiche e sinottiche affinché la scrittura risulti scorrevole e, al contempo, chiara e affatto gradevole, stimolante che stuzzichi la curiosità del lettore a procedere oltre, fino all'epilogo.

L'evoluzione all'utilizzo della forma dialettale costituisce lo sbocco finale della ricerca delle origini, della condizione di semianalfabetismo che le imposizioni scolastiche ci hanno fatto, in qualche modo, dimenticare. I dialetti e, nel nostro caso specifico, il vernacolo sono l'espressione della vita più vera di una realtà sociale, la schietta manifestazione del carattere di un popolo che, esprimendosi nella lingua nazionale, non può che snaturare il proprio modo di comunicare. Lungi da me l'idea di sostenere la proposta di introdurre il dialetto o il vernacolo quale materia di insegnamento scolastico, tuttavia una sana rivalutazione della lingua dei nostri avi è il metodo più sicuro per non perdere quelle tradizioni attraverso cui siamo giunti ai giorni nostri.
Addentrandoci nei meandri dei rioni più antichi di ogni agglomerato urbano, ciò che da noi è identificabile nella Nuova Venezia e ancor più nei rioni di Corea e Shanghai o all'Origine, si scoprono idiomi sconosciuti e verosimilmente poco identificabili con la realtà del centro, a cui solitamente spetta il ruolo di vetrina ove mostrare il meglio della mercanzia. Rasenta i confini dell'inverosimile soltanto immaginare una litigata o un'imprecazione in lingua italiana, a dimostrazione che l'emotività e l'istinto traggono origine da quel linguaggio radicato e privo delle fiorettature da prima pagina che consentono di tenere conferenze o comizi.
Risulta quindi naturale utilizzare il vernacolo (o il dialetto) quale mezzo espressivo per rappresentare le emozioni più spontanee, quelle che sgorgano dalla regioni più recondite dell'intimo, da quell'area ai limiti tra il conscio ed il subcosciente che l'intelletto è spesso incapace di governare. Altrettanto naturale è l'utilizzo della volgarità, ancorché parzialmente detersa dai filtri del buonsenso e della buona educazione, quale espressione linguistica dell'impulso più primitivo. È utile, al proposito, ricordare Cangillo - al secolo Dino Targioni Tozzetti - quale maestro della poetica spesso dissacrante dei bassi fondi, di quegli alti e bassi, risate e riflessioni, crisi e rinascite che solo la spontaneità e la veracità di un popolo possono esprimere con quella gagliardia che, ai giorni nostri, è sempre più a rischio globalizzazione. Ma altri esponenti della nostra cultura si sono abbeverati alla saggezza popolare, siano essi valenti scrittori e poeti o interpreti d'eccezione quali Beppe Leonardini, "Pappa" Urano Sarti, Sergio Galli e ancora Beppe Orlandi, Gigi Benigni, Gino Lena, Tina Andrei eccetera, eccetera, eccetera.
E dove carpire la spontaneità gergale se non nei luoghi di lavoro o di aggregazione sociale dove amici e conoscenti, magari attestati di un età venerabile, diventano un pozzo inesauribile di espressioni idiomatiche e modi di dire appartenenti ad una cultura che, ahimè, rischiamo davvero di perdere.
È facile, quasi scontato che dal vernacolo ci si aspetti la battuta umoristica, la situazione grottesca, la derisione del gonzo di turno per questioni di corna, peculiarità fisiche o traversie di cui è stato protagonista; ed è altrettanto naturale esprimere impulsi polemici nei confronti dei governanti, degli insopportabili vicini di casa o del bottegaio "furbo" che non produce lo scontrino, nondimeno l'idioma locale può riuscire ad elevarsi in celebrazioni raffinate ed auliche dei sentimenti più profondi dell'animo, quali amicizia e amore, senza per questo incorrere nei ricercati perfezionismi che il linguaggio ufficiale impone.

Simili considerazioni valgono, nel caso specifico della poesia, sia vernacolare che in lingua, per l'utilizzo della rima e della metrica: al di là dell'esercizio puro in cui consonanza e prosodia assumono i connotati di sfidanti da dominare per puro gusto estetico, è inevitabile che i concetti più convincenti e, se vogliamo, più veri non possono che essere espressi da versi buttati sul foglio senza che i filtri metodico-congetturali applichino la loro razionale scrematura.
Eppure, in circostanze particolari, per esprimere certe emozioni, certi sentimenti e stati d'animo, anche il bravo interprete vernacolare si rifugia nei sofismi della lingua nazionale… e anche questa è una questione di istinto!
Di seguito due componimenti di mia creazione: il primo, in vernacolo, è uno dei primi in assoluto ed è dedicato al simbolo della nostra città, quella triglia che rappresenta tutta la veracità del livornese di scoglio e che ho utilizzato anche per dare il titolo alla mia ultima fatica letteraria "La mia amica triglia"; il secondo, in italiano, è nato all'indomani della dipartita dell'ultimo superstite fra i due protagonisti del mio volume "Albania, racconti di un cavalleggero", perdite gravi ancorché inevitabili a cui tutti prima o poi dobbiamo rassegnarci.
11 ottobre 2012 E.V.


La triglia

Boia, deh! E ci sto gavinosa
a sguazza' 'nqua e 'nlà per ir Tirreno!
Ogni tanto sbircio un po' fori dall'onda:
ammiro i Vattro Mori, la Terrazza
e quer ciuffo di pini, alla Rotonda.
Da' tre ponti, m'allung'all'Antignano,
'r Castel Boccale, si! è sempre laggiù,
po' giro la 'oda e me ne torno 'nsu,
puntando allargo, verso la Meloria.
Se mi va, giro d'intorno alla Vegliaia,
o a buzz'all'aria a riposa' mi metto,
coll'ond'azurra di vesto popo' di mare
che mi 'ulla 'osì, a sciacquabudella.

Ora 'osa c'è, chi è che mi strattona?
Possibile,
un ci si pole neanco riposa'!
Ma ca'a voi, bellino, un rompe' tanto
li zebedei, ma un c'hai artro da fa'?
Ma senti 'ome tira, ora lo vedi
come ti 'oncio se mi fai 'ncazza'!

Oh, Madonnina mia di Montinero,
quarcosa m'aggrovigliola d'intorno,
mi brocca… brocca tutto 'r movimento
e un so' capace neanche più di fa'
no colla testa!
Vai! M'hanno preso, ma tanto lo sapevo
che 'n giorno o l'artro deveva 'apità:
nella rete di varche pozzolano
sono 'ascata e mi devo rassegna'!
…Ohimmei!
Ora mi tocca ma a me, fini' 'n padella!
M'aguro armeno,
se questo dev'esse 'r mi destino,
di spicca' l'urtimissimo bollore,
framezzo a 'n gran fottio di pomodoro,
aglio, cipolla, olio vanto basta
e, per concrude',
'r pruzzemolo più aromati'o 'he c'è:
se è propio la mi' ora, 'nsomma…
…mi garberebbe di mori'…
…triglia alla livornese!

Ermanno Volterrani, dicembre 2007


Congedo di un cavalleggero

Corri cavalleggero,
sopito il respiro,
sprona Alone, il tuo destriero,
a briglia sciolta,
la criniera al vento,
nei pascoli del firmamento
libero e sconfinato!
Rincorri le nuvole,
scavalca quel cirro arricciato,
eludi quel jet, importuno.
Frenesia, impazienza, agitazione
ha scatenato il rinnovato incontro,
ormai imminente.
Eccotela: appare seduta
su un effimero batuffolo di cielo;
da più di due anni aspettava,
la tua bella
con un balzo è con te sulla sella:
ricongiunti gli amanti,
l'amore di una vita, passeggero,
si consolida nell'eternità
per la bella ed il suo cavalleggero!

Ermanno Volterrani, luglio 2012


 
 

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