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Patrizia
Poli presenta
Spiriti
animali
di Giuseppe Benassi -
Pendragon,
2013 - Euro 15,00 |

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"Aveva
ragione lord
Byron, siamo posseduti da spiriti animali,
bestie invisibili prendono il potere in noi,
si insediano nel nostro spirito, e sono benevole
o malevole secondo il caso."
Ormai Giuseppe Benassi ci ha abituato ai casi
dell'avvocato Borrani e ai gialli che sono pretesti
per disquisire d'altro. Questo "Spiriti
animali", tuttavia, si spinge oltre, diventando
quasi "romanzo di conversazione".
Gli spiriti animali sono quelli evocati dal
satanico e ribelle lord Byron, simbolo di trasgressione.
In ogni persona, Borrani, ispirato da Byron,
vede un rappresentante del regno animale, con
vizi e bassi istinti ma anche con tanta energia
pronta a deflagrare.
"Era sempre la stessa storia: crediamo
di conoscere chi abbiamo sott'occhio tutti i
giorni, e poi ci si rivelano tratti sepolti,
sconosciuti, di cui eravamo del tutto ignari.
Il cervello animale che prende il sopravvento
su quello umano. Ogni uomo è una foresta
in cui si nascondono folle di bestie."
(pag 67)
È quello che Goleman chiama sequestro
neurale, spesso scatenato dall'ipofisi, sede
dell'istinto, in contrapposizione con la corteccia
frontale, dimora della civiltà e dell'inibizione.
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Di
tutti i romanzi di Benassi questo è il
meno intellettuale, il meno alchemico ed esoterico,
ma quello in cui forse l'autore più si
mette a nudo. Quegli stessi impulsi forieri di
lussuria e violenza sono, ci fa capire, anche
portatori del loro contrario.
Gli spiriti animali irrompono in una vita che
è "sull'orlo di una crisi di nervi".
Leopoldo Borrani, l'avvocato livornese, intellettuale,
antipatico e sessuomane, sente arrivare i sintomi
della depressione, ciò che un tempo si
chiamava esaurimento nervoso. Ha un'età
e comincia a considerare concretamente l'ipotesi
di non rimanere più solo, di sposare la
Marianna Messori, l'amante che ora chiama "fidanzata",
come la Livia di Montalbano, fra liti e riappacificazioni.
Non vuole arrendersi ai farmaci ma nemmeno al
vuoto, all'aridità di una condizione che
è deserto e macerie, dove non si riescono
a instaurare rapporti veri e profondi, dove i
nostri simili ci annoiano, sono bestie deformi,
avide e volgari, sono, come le definisce Borrani,
"insopportabile umanità", dove
il narcisismo ci fa specchiare in una pozza che
rimanda solo la nostra immagine, anch'essa distorta
e tediosa.
"Fai uno sforzo, Borrani, stai diventando
insopportabile, selvatico, ancora un po' e sarai
del tutto uno zitello inacidito; sforzati almeno
un po' di essere socievole, non sono tutti stronzi
e stronze, c'è anche del buono nel tuo
prossimo; se aiuti qualcuno, il bene che fai ti
torna indietro, almeno provaci, accorgiti che
esistono anche gli altri, che anche gli altri
fanno degli sforzi per sopportarti, che non sei
tu il centro del mondo, che hai dei difetti di
carattere, e se sei intelligente come credi lo
devi pur capire
" (pag 72)
Gli spiriti animali si concretizzano in un cane,
Cioppi, lasciato in custodia all'arcigno avvocato
da una cliente sudamericana in guerra col marito.
Cioppi scatena un'imprevista simpatia nell'animo
disseccato di Borrani, fa emergere, per contrasto,
l'umanità che c'è in lui, spingendolo
a gesti di bontà, alla ricerca del Bene
per il suo prossimo. Sentirà quindi - davvero
o solo come atteggiamento di maniera, come "lacrimetta
in fin di vita" - il bisogno di essere più
gentile con i suoi dipendenti, più affettuoso
con la fidanzata, di rimediare a tutta l'anaffettività
sin lì provata.
Allo stesso tempo, però, il contatto con
l'animale lo porta avanti lungo una strada pericolosa
che, se proseguita, potrebbe addirittura sfociare
nella sodomia, fargli compiere il balzo fino a
quel momento solo immaginato come peccaminosa,
appunto byronica, possibilità. Tutto si
mescola nell'immaginario perverso di Borrani:
la lingua amorevole e calda del cane, l'accappatoio
intriso dell'odore del giovane praticante Pippi,
la vagheggiata terza tetta dell'esotica cliente.
Sono particolari morbosi, frutto di una mente
eccitata e malata che necessita sempre di continui
stimoli, disgustata dalla vita quotidiana, dalle
giornate passate sui bagni Pancaldi a sentir ragionare
donne finte intellettuali astrofile.
Ancora una volta, la parte migliore e più
autentica del libro è la descrizione di
Livorno, a momenti lirica
"L'odore di salsedine si mischiava a quello
dei fiori appena sbocciati. Il sentore delle alghe
appena putrefatte che le onde avevano sospinto
sulla spiaggia di sassi metteva voglia di mare.
Le finestre delle casine dell'Ardenza eran tutte
spalancate, bocche che respiravano come esseri
viventi." (pag 137)
a tratti plebea
"dal porto usciva proprio in quel momento,
scurreggiando una sonora fumata nera, un traghetto"
con le rappresentazioni dei bagni affollati, del
mercato, delle donne del popolo con i piedi sudati,
le caviglie gonfie e la borsa della spesa.
La materia umana è sempre ripugnante in
Benassi, solo la natura ha un afflato incontaminato,
è limpida come l'arte, come la ragione
pura. Solo così, solo fondendo alto e basso,
integrando anima e natura, intelletto e istinto,
l'uomo alienato, spaesato, debosciato, disadattato,
può sperare, non tanto di superare la sua
condizione di depresso, ma almeno di tirare avanti,
riunendo in sé il doppio, il Giano bifronte,
lo spirito e l'animale. |
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