Patrizia Poli presenta
Carlo Bini

"Città di pittori,
Livorno neanche sospetta
di aver avuto tra i suoi figli migliori
anche qualche buon poeta.

Incuriosa di sé e della sua storia,
ferma ai miti del Fattori e del Mascagni
(gli unici a suo avviso
- che le servono a tener testa
alla boria delle consorelle toscane),
Livorno si è dimenticata così
anche di Carlo Bini."


Così Giorgio Fontanelli esordisce nella prefazione a "Il forte della Stella" di Carlo Bini, (1806 - 1842) un altro dei personaggi dimenticati e trascurati della storia e della letteratura, non solo livornese ma nazionale.
Democratico e romantico, fu brillante, intelligente, creativo, ma di carattere irrequieto, indocile e ribelle. Nacque da famiglia umile, in Via delle Galere, frequentò il collegio dei barnabiti, dove conobbe il Guerrazzi, ma fu costretto a interrompere gli studi e dedicarsi controvoglia al banco di granaglie e cereali del padre, cosa che lo umiliò e condizionò per tutta l'esistenza, frustrando le sue aspirazioni politiche e intellettuali. Continuò a studiare da autodidatta, imparando da solo greco e latino ma anche tedesco, francese e inglese, traducendo Byron e Sterne
Insieme a un gruppo di giovani di buona volontà, fra i quali Guerrazzi e Mazzini, fondò nel 1829 "L'indicatore livornese", giornale politico ma anche letterario, il cui motto era Alere flammam, alimentare la fiamma! Lo diresse con Guerrazzi fino al trenta, poi attirarono l'attenzione del granducato per la loro vicinanza a Mazzini e alla Giovane Italia e per il proselitismo negli ambienti popolari. Bini amava frequentare, infatti, i quartieri più umili della città, mescolandosi a operai e navicellai, restando coinvolto nelle zuffe in bettole e taverne fino a esserne seriamente ferito. Come afferma Mazzini: "La sua gioventù trascorse fra i rozzi e rissosi popolani della Venezia." C'è chi sostiene che l'arresto fu dovuto anche ad un articolo scritto da Bini contro l'accademia culturale labronica, che, a suo dire, si occupava solo di "cianciafruscole in prosa ed in rima". Gli accademici livornesi fecero giungere l'eco delle loro querele per gli oltraggi del Bini sino all'orecchio del Granduca.
Nel carcere di Portoferraio, in cui rimase da settembre a dicembre del 1933, Bini scrisse le sue due opere principali. La più conosciuta è il "Manoscritto di un prigioniero", che è rimasto famoso nella memorialistica risorgimentale come scritto rivoluzionario per l'epoca perché rivendicava i diritti dei poveri alla stregua del Saint Simon, il fondatore del socialismo.

"Una ferma volontà di rigore stilistico, col proposito di alleggerire e sollevare la materia in un romantico arabesco di riflessioni ironiche, di fantasie e di umorismo alla Sterne, si vede […] nel Manoscritto di un prigioniero (1833) del livornese CARLO BINI, ma dietro lo scintillio di quell'arte ancora immatura e apparentemente svagata sta uno spirito serio, pensoso, preoccupato delle ingiustizie sociali" (Natalino Sapegno)
L'altra opera è "Il forte della stella", atto unico teatrale di cui furono pubblicati solo pochi esemplari.
"Messere, io non ho mai visto la giustizia; però non so dirvi se ella sia cieca, o se abbia vista di lince, o se porti gli occhiali. La vedrei bensì volentieri cotesta matrona; la vedrei volentieri non per altro, badate, che per baciarle le mani.


Solamente vi dirò, che a Livorno un contadino una volta affacciandosi a un tribunale a dimandare se stesse lì la Giustizia, gli fu risposto aspramente: - Fuori, fuori; qui non ci sta la Giustizia." Carlo Bini, "Il forte della Stella" (pag.226)

Anche quando frequentò i salotti, Bini vi trasferì il suo gusto guascone, l'irriverenza labronica, il sarcasmo che mitigava la retorica romantica, la capacità di trasformare in cultura il quotidiano - forse tutte caratteristiche dovute ai suoi trascorsi da venditore - ma seppe arricchirle di uno spirito intellettuale tutt'altro che provinciale, bensì europeo.
Oltre agli scritti politici, produsse anche testi privati, come l'accorata lettera al padre e le settantotto epistole per Adele Perfetti, adultera alto borghese, sua amante per un anno, poi deceduta. La morte di Adele lo gettò nello sconforto e lo allontanò dalla polita, suscitando lo sdegno morale del Guerrazzi.
A rivalutarlo, invece, fu Mazzini, che scrisse una prefazione anonima ai suoi scritti, dopo la sua morte, avvenuta nel 1842.

 

Riferimenti

Natalino Sapegno, "Disegno storico della letteratura italiana", "La nuova Italia", Firenze, 1948
Giorgio Fontanelli, prefazione a Carlo Bini, "Il forte della Stella", Successori Le Monnier, Firenze, 1869
www.intratext.com/IXT/ITA2438/_P6.HTM

 
 

IL QUINTOMORO
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