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Mi
chiamo Rossz che in ungherese vuol dire cattivo. Non
so se il mio patrigno ha voluto appiccicarmi questo
nome per vendicarsi di mia madre che mi ha messo al
mondo con un altro. So che cattivo non mi sento anche
se tanti che mi stanno intorno fanno di tutto per
evitarmi e chiudermi in un recinto. Da solo. Sempre
da solo.
Sono un extracomunitario l'avrete già capito.
Nato per strada, col mio patrigno e mamma che però
non l'ha voluto vicino, quell'uomo, nel momento del
parto. Dopo sì, quando non ne poteva più
e d'altronde qualcuno doveva procurarci qualcosa da
mangiare. Lui ci ha pensato, a suo modo. Avvolti in
una coperta con mamma ed i miei fratelli abbiamo vissuto
i primi giorni in una piazza ed anche i giorni successivi,
a fare pena alla gente. |
A qualcuno anche schifo perché diceva che non è
giusto speculare sulla vita per far soldi. Così
non ci faceva neanche l'elemosina e ne andava in pace
con sé stesso. I più ci hanno portato da
mangiare. Al mio patrigno hanno dato qualche soldo, pochi
ma che a lui bastavano per fumarsi qualcosa, bere, comprare
un po' di latte per mamma.
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Alla fine mi hanno adottato. Mi ha preso una famiglia.
Così, alla buona, senza tenere conto della
legge sull'affidamento. Ma nessuno si è preoccupato:
siamo extracomunitari, chi se ne frega. Sono cresciuto
con queste persone. Imparando il loro, vostro modo
di vivere, una cultura diversa, diversi modi di mangiare.
Non più il latte di mamma che non ho visto
e forse non rivedrò mai più perché
lei, malgrado tutto, è sempre fedele al mio
patrigno, al suo uomo che non abbandonerà mai,
dal quale si farà sfruttare in ogni modo senza
ricevere niente. E va già bene se non la pesta
a sangue anche di fronte a tutti perché di
noi, esseri di strada, nessuno si cura. Anzi, c'è
chi è ancora convinto che la nostra sia una
scelta, un modo di vivere che ci piace, un rifiuto
del benessere della società civile. Sono ancora
con la famiglia che mi ha adottato. E sto bene. Ho
passato con loro bei momenti e li vivo anche oggi
anche se non è facile abituarsi alla vita cosiddettta
normale. Colazione, passeggiata al parco giochi, pranzo,
sonnellino, altra passeggiata e poi la cena. Ah gi.
Anche la scuola con un maestro pacioccone che mi piace:
faccio cosa mi pare. Poi televisione ed a letto. Mi
manca, spesso, la vita libera della strada, il freddo
del marciapiede, la coperta nella quale ci avvolgevamo
con mamma ed i miei fratelli. |
Mamma
soprattutto mi manca. Mi hanno portato via da lei troppo
presto: avevo, ho ancora bisogno di lei, dei suoi insegnamenti,
anche della sua durezza.
In questa casa sono tutti buoni, faccio quello che voglio
ed mi piace. A volte mi chiedo se è giusto che
sia così. Ma preferisco non rispondermi. E mi perdo
nei miei giochi, nella tappezzeria e sui divani su cui
saltare in barba ai divieti. Loro a volte mi puniscono
ed io il giorno dopo lo rifaccio. La vedremo chi si stancherà
prima. Del resto, hanno voluto prendermi dalla strada
e questo avranno. Ma non tutti. Con la mia nuova mamma
sono diverso. Mi fa tenerezza, mi abbraccia, mi culla
e il più delle volte non mi fa rimpiangere la mia
di madri, quella sparita con il patrigno. La mia nuova
mamma mi porta fuori, a giocare. Vorrebbe fare tanto per
me ed io non riesco a farle capire che va bene così.
Che mi manca solo un po' di libertà, di strada,
di bosco, di foresta come quel Buck di un libro che mi
hanno raccontato visto che sono troppo piccolo per leggere.
Sto
crescendo, ogni giorno mi sento più grande
e forte. Il tempo è volato e gli altri, quelli
che un tempo mi trattavano con sufficienza cominciano
a temermi. Anche troppo. Al parco hanno cominciato
ad evitarmi. Le altre madri tengono i loro piccoli
lontani da me. Perché sono un extracomunitario
e si vede. Perché appartengo ad una razza pericolosa.
Perché, siccome sono fatto in un certo modo,
nel modo che ha voluto il buon Dio - perché
ognuno ha il suo Dio, ovunque nasca e comunque lo
chiami - ecco, siccome sono così, mi si deve
evitare, allontanare. E così mi trovo solo
a correre nei prati, a giocare con la mia nuova mamma
che soffre con me questa emarginazione. Gli altri
li vedo allontanarsi, provo a chiamarli e si voltano
per la verità. |
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Ma le loro mamme li strattonano via, come fossi una bestia
immonda, pericolosa. Da evitare. Tutto questo non mi fa
bene. Non fa bene alla mia salute mentale e mi fa venire
una grande rabbia. Mi viene da odiare gli altri ma non
è colpa mia. Mamma mi ha raccontato quella storia
di quel tedesco, Brecht mi pare o qualcosa del genere:
la storia dell'imbecillità. Dice quel signore tedesco
che un giorno qualcuno l'obbligò a scendere dal
marciapiede. Perché la legge diceva che doveva
fare così. Una legge stupida, pensò quel
Brecht il quale non aveva mai fatto caso all'importanza
di stare sopra o sotto un marciapiede. Da quel momento
cominciò ad odiare quelli che gli davano un ordine
tanto assurdo. E diventò, come gli altri, imbecille.
Io non voglio diventare imbecille né razzista come
le mamme dei miei amici. Loro, i piccoli, mi guardano
con gli occhi lucidi e mi fanno capire che devono andarsene
perché li portano via ma che vorrebbero stare con
me. Sì, qualcuno tra i più grandicelli non
mi osserva con dolcezza: sono stati già inquadrati
dal sistema e, ormai, la vedono come gli adulti.
Ma è giusto tutto questo? Per me no. Per me che
sono nato in strada, che ho vissuto di elemosine ed espedienti,
la vita è un'altra cosa. Libertà, libertà.
La grido da tutti i pori, l'abbaierei alla luna se ne
fossi capace ed anche a tutti gli esseri della terra.
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Libertà,
uguaglianza, fratellanza. Sento dire queste cose da
mamma che ancora studia all'Università. Le
ripete meccanicamente a libro chiuso per ricordarle
e raccontarle ad un uomo, tra qualche giorno, che
in cambio le darà un voto. Come mamma tanti
hanno letto, studiato e ripetuto quelle frasi. Meccanicamente,
senza capirle. Ed io, che le ho vissute vorrei gridarle
a squarciagola. Ma non posso. Malgrado mi stia avvicinando
all'età adulta e viva da tempo in questa società
non riesco ad esprimermi nella vostra lingua e la
mia, purtroppo, non riuscite ancora a capirla. Parola
di Rossz signori. Condannato dal nome e dall'aspetto
ad essere cattivo perché nelle mie vene di
meticcio scorrono sangue di rotwailer, pittbull, pastore
tedesco e corso ed un barbone si è divertito
a chiamarmi come mi chiamo.
Certo, ho detto rotwailer, corso. Come, non l'avevate
ancora capito? Ebbene sì, avete ascoltato il
lamento di un cane meticcio di undici mesi di 50 chili.
Mezzo quintale di libertà e di amore. Ma a
voi piace di più chiamarmi bastardo. |
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