LA
SECCA DEL CORALLO
Immersioni
all'Isola d'Elba
di
Paolo Alessandro Piccardi
La
volta scorsa vi ho accompagnato
a -80mt, alla franata del Ginepro.
Stavolta ci immergeremo alla “Secca
dei Coralli”, Capo Poro per
intendersi, nella parte dell’isola
d’Elba che interessa il tratto
di mare di fronte alla costa che
va da Marina di Campo verso Marciana.
Qui, una volta arrivati con l’imbarcazione
al punto ‘X’, raggiungeremo
la profondità di -52 metri.
Quindi più facile, potreste
subito pensare. Seee... Ma per niente.
E ora scoprirete anche ilperché.
Siamo in barca, nel tratto di mare
sopra indicato. Prima di tutto,
ora, c’è da trovare
la secca ed ancorare in prossimità
di questa. La nostra bussola è
in azione. La prua della barca si
dirige verso sud sud-ovest. Ci allontaniamo
dalla costa di circa 500 metri.
Il faro di Capo Poro è alle
nostre spalle. Ci allineiamo all’antenna
del monte Perone e alla mezzeria
della vallata sottostante. Riferimenti
visivi: sul lato opposto a Capo
Poro, una parete la cui forma ricorda
una mitra e per questo denominata
Roccia del Vescovo; sotto di questa,
la prima casa fuori dell’abitato
di Marina di Campo. Iniziamo così
a sondare il fondale per individuare
il ‘cappello’ della
secca, la parte più alta
e meno profonda. Ecco, ci siamo.
Siamo sulla “Secca dei Coralli”:
l’ecoscandaglio segnala la
profondità di -36 metri.
Gettiamo l’ancora e subito
c’è da controllare
quella frenesia che ci vorrebbe
vedere tutti velocemente in acqua. Ma
prima c’è da preparare
le ultime cose con la massima dovizia.
Bombola di riserva calata a -9 metri.
Bombolino di ossigeno sulla barca:
ok; telefonata preventiva al più
vicino centro di soccorso in mare;
ultimi controlli all’attrezzatura
personale da parte di ciascuno di
noi e... via. All’indietro,
ci lasciamo scivolare in acqua.
Il nostro supporto che resta in
superficie, ci passa le Nikonos,
ben cariche e pronte a ‘sparare’
scatti a ripetizione e... l’immersione
ha inizio. I primi metri per effettuare
le necessarie manovre di compensazione
dei timpani e dellamaschera e poi
giù, verso il fondo, a paracadute
per
rallentare il più possibile
la nostra discesa.
Qui, tutto intorno a noi, verso
il Cappello della Secca, posto già
ad una discreta profondità,
c’è solo acqua, limpida,
ma solo acqua; nessun punto di riferimento.
Siamo circondati e avvolti da questo
blu, nel silenzio più totale.
Si continua a planare verso il basso
e si ha come la sensazione di volare.
Metro dopo metro raggiungiamo la
parte alta della secca. Troviamo
ad attenderci una targa deposta
alla memoria di un compagno subacqueo
tedesco, quale monito per dissuadere
tutti a trattenersi troppo sott’acqua,
a dilungarsi tra uno scatto e l’altro,
ammaliati dal fascino tentatore
del mondo sommerso. A volte la negli
genza e l’incoscienza rendono
i tempi proibitivi per una corretta
risalita in sicurezza. Già
così ci attende una risalita
impegnativa.
Certo che la visione della secca,
in duce in tentazione: meravigliosa,
che altro dire. Completamente ricoperta
da paramuricee, tra i cui ventagli
si possono osservare ancorati le
uova deposte dai gattucci. E poi,
gigli di mare, tantissimi; mentre
nuvole di castagnole rosse nuotano
e si muovono intorno. Tentatori.
Faccio qualche scatto e mi riadeguo
subito al briefing pre-immersione
e al gruppo. Si deve scendere ancora:
la nostra meta di oggi è
la base della secca a -52. E lo
spettacolo non cambia. Tra i numerosi
anfratti che si osservano ora, scendendo
lungo il fianco della secca, si
scorgono far capolino dalle
tane, grosse aragoste dalle lunghe
antenne, mentre altre escono più
decise, quasi come affacciate al
loro balcone naturale per rivendicarne
la proprietà. Qualche altro
pesce, zig-zagando si allontana
veloce da noi, mentre pesci cappone
e scorfani, non sembrano curarsi
troppo del nostro passaggio. Se
ne restano lì, immobili.
Si scende ancora e il fondale si
fa promiscuo, tra il sabbioso e
il melmoso. Siamo sul
fondo... a - 52 metri. Qui si trovano
in quantità ricci melone,
ricci corona, ricci saetta. Difficilmente
ho trovato scenari simili in tanti
anni di immersioni all’Elba.
Qualche centro di fotosubacquea
davvero non me lo posso perdere.
Siamo passati da quell’azzurro
che metteva quasi soggezione a questa
festa di colori. E come per Cenerentola,
anche la nostra festa è finita.
E’ scoccata la nostra mezzanotte
e, senza fuggire via, iniziamo a
risalire seguendo le indicazioni
dei nostri computer, che ci mostrano
le tappe e i tempi di decompressione
ai quali scrupolosamente attenerci.
Quando riemergiamo ci rendiamo conto
di esserci ‘sparati’
ben 26’ di deco.
Personalmente ritengo che l’immersione
a Capo Poro, unitamente a quella
del Ginepro e di Fonza, rappresentino
una ‘storia diversa’
per il subacqueo rispetto alle tante
immersioni che usualmente si possono
fare.
Già
il poterle affrontare, significa
saperle affrontare, quindi di per
sé gratificanti per il bagaglio
tecnico non indifferente conseguito
e l’esperienza. Ma ciò
che più ti premia, è
il rapporto che dopo queste immersioni,
senti di aver instaurato con il
mare. La natura che osservi
e il contesto dove tutto si svolge:
l’elevata profondità,
il silenzio più assoluto,
il blù più avvolgente
che ci sia. Qui si crea una Storia
d’Amore tra il sub e il Mare.
Qui ti senti parte integrante dello
stesso, lo fai tuo per poi portarlo
sempre nel cuore, anche nelle piovose
giornate invernal, magari anche
in un ufficio dalle pareti tappezzate
di sue fotografie, dove ogni tanto
alzare lo sguardo, fissarle per
attimi interminabili per poi...
Riprendere il lavoro.
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