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l' EDITORIALE di Maurizio Silvestri
maggio 2007

Il quinto MoroIl barone Bettino ricorda ancora la battaglia, di quando quei “pezzenti di livornesi” sparavano a mitraglia contro le truppe austriache che ristabilivano “L'ordine costituito” e dunque i granduchi e lui stesso. Il barone, sì, proprio lui, il Ricasoli al quale è stata poi intitolata la più bella via della nostra città, era con le truppe che riportavano l'Ordine e per poco non si è preso qualche schioppettata.
Quando sarà nel nuovo governo dei Savoia il barone non dimenticherà quei giorni del maggio 1849. E non darà premi ai livornesi che si sono fatti trucidare affinché lui con i Savoia costruissero il Regno d'Italia. Anche perché a Ricasoli ed a tutti i nobili e signori del tempo non faceva piacere, come del resto era piuttosto sgradita ai vecchi governanti, la propensione dei livornesi verso la libertà e la voglia di essere uomini liberi.
Concetti antichi che risalivano a quando i Medici avevano fondato la loro Città ideale, Livorno appunto. Ma sempre troppo nuovi e peggio rivoluzionari nel secolo diciannovesimo. Così Enrico Bartelloni e gli altri livornesi, per il loro apporto al Risorgimento italiano hanno avuto una medaglia dal re Vittorio Emanuele III solo nel 1906. E se non fosse stato per Costanzo Ciano non avrebbero avuto la Provincia, l'ospedale, lo stadio e tante altre cosette che hanno riportato la città ai livelli che merita. Anche ora sembra che non siano in molti a dare importanza a quei giorni di battaglia. Se non fosse per le iniziative di vari appassionati, come i gruppi di rievocazione storica, il maggio del 1849 scivolerebbe via in sordina, come è avvenuto per molti anni. E' vero che sugli spalti non c'erano tutti i livornesi, la maggior parte dei quali si trovava sulle barche o aveva lasciato la città in attesa degli eventi. E' vero che il porto era presidiato dalle navi delle maggiori potenze che non permisero l'arrivo di rinforzi. E' vero che ci furono tradimenti, che i pochi pezzi di artiglieria avevano cariche inadeguate al calibro e tanto altro ancora. Ma cosa più certa è che in quei giorni a Livorno si voleva dare un esempio: va bene un'Italia unita ma sia chiaro che il Potere non va certo al popolo e la giustizia sociale - la cui utilità al Potere è tutta da dimostrare è bella fin quando rimane un ideale. Ok dunque al coinvolgimento del Popolo quando fa comodo ma poi basta, in barba ai principi tanto decantati da Garibaldi e Mazzini che avevano infiammato i cuori dei livornesi fin dal 1830. Comunismo, anticomunismo? Niente di tutto questo, solo realtà dei fatti che raccontiamo, con lo spirito del Quinto Moro, quello libero che registra la cronaca di ieri, oggi e domani.
Fin quando sarà possibile.
Edizione IL QUINTO MORO
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