
|  
           | 
      |||||
| 
 VI 
                                      RACCONTO QUEL MAGGIO 1849 
                                    Le memorie di un protagonsita della difesa di Livorno testi di Antonio De Zio de “La Vergine di Ferro” Rievocazioni Storiche - foto Fabio Marcaccini  11 
                                        maggio 1849.Gli austriaci sono ormai alle porte della nostra città. Ripenso a ieri sera. Ero con un amico ed il mio vecchio fucile. Un fucile in due, perché non siamo soldati. Abbiamo entrambi un lavoro ed una famiglia e quando la nostra città si è ribellata al potere del Granduca ci siamo armati come potevamo, un fucile in due, appunto, che portiamo un po' per uno… Ieri sera, dicevo, abbiamo sentito dei rumori. Pensavamo fossero gli austriaci, ma invece erano altri livornesi. Alcuni li conoscevamo pure.  Stavano 
                                        scappando nell'unica direzione possibile, 
                                        il mare. Prendevano le loro barche e si 
                                        allontanavano per paura dell'esercito 
                                        austriaco. Dicono che arriveranno 
                                        in 20.000. Io ed il mio amico ci chiedemmo 
                                        se dovevamo farlo anche noi, come ho detto 
                                        abbiamo famiglia e avremmo potuto portare 
                                        in salvo anche loro. In quel momento arrivò 
                                        il “gatto”. Venne deciso verso di noi. Non si preoccupava di chi scappava, ci chiese solamente come andava la ronda. “Bene”, gli risposi io. “Bene” rispose lui. Non aveva paura, sapeva che avrebbe combattuto fino alla morte per la difesa della sua città e dei suoi ideali, anzi, dei nostri ideali, perché da quel momento io ed il mio amico capimmo che non saremmo fuggiti come gli altri. I primi scontri Stamani ed oggi pomeriggio abbiamo avuto alcuni piccoli scontri con  l'esercito 
                                        austriaco. Il primo vicino al mare, il 
                                        secondo sul Voltone. Abbiamo fatto dei 
                                        piccoli attacchi a sorpresa ed ogni volta 
                                        siamo fuggiti. Ne abbiamo uccisi alcuni, 
                                        ma sono veramente molti e quando si muovono 
                                        fanno davvero paura. Si muovono tutti 
                                        insieme, mantenendo la formazione in modo 
                                        perfetto. Aspettano l'ordine per sparare, 
                                        anche se noi lo stiamo già facendo. 
                                        Quando sparano loro, tutti insieme, chi 
                                        si trova davanti non ha scampo. Utilizzano 
                                        fucili moderni, con le capsule, non come 
                                        il mio vecchio fucile a pietra focaia, 
                                        che ogni tre o quattro colpi fa cilecca.!! 
                                        Adesso sono alle porte della nostra città. 
                                        Hanno moltissimi cannoni e sono molto 
                                        grandi. Sparo con il mio vecchio fucile, 
                                        che Ogni tanto fa cilecca. Sparo soltanto 
                                        io, perché il mio amico è 
                                        stato ferito mentre cercava di lanciare 
                                        una pietra contro di loro. Sparo, ma nella 
                                        confusione non capisco nemmeno se colpisco 
                                        qualcuno, e poi sono così tanti 
                                        che forse non  farebbe nemmeno differenza....... 
                                        Quello che mi fa paura sono i cannoni. Sono più dei nostri e sono più grossi. Un colpo di cannone apre una breccia in Porta San Marco. Gli austriaci entrano. Gli spariamo tutti contro ma loro entrano. Sono così tanti che non è possibile fermarli. Non sono più uomini, è un fiume che ha passato un argine e che non può essere fermato. Scappiamo. Ho il fucile in mano ma non ho tempo di fermarmi a caricarlo. Gli austriaci marciano ad un ritmo velocissimo. I loro tamburi battono una cadenza frenetica e loro marciano a tempo. Sto correndo, dovrei allontanarmi, ma sembrano sempre vicini. Trovo una barricata, mi metto dietro, carico il fucile più veloce che posso: strappo coi denti la prima parte della cartuccia, metto un po' di polvere nel bacinetto, lo chiudo, poi appoggio il calcio del fucile in terra, metto il resto della polvere nella canna, inserisco la carta, poi la pallottola, estraggo la bacchetta, premo più volte, estraggo e rimetto a posto la bacchetta: sono pronto! Carico il fucile e sparo. Cilecca. Carico nuovamente indietro la pietra focaia, guardo nel bacinetto. La polvere c'è. Riprovo a sparare. Ancora cilecca. Carico ancora. Premo nuovamente il grilletto. La pietra vola via. Ho sbagliato, dovevo assicurarmi che fosse strinta bene, maledizione alla foga… alla paura… Guardo in terra ma è buio. Se fossi un soldato forse ne avrei una di riserva, ma sono solo un uomo comune, un uomo con un vecchio fucile. La resa Gli austriaci passano la barricata, getto il fucile a terra, alzo le mani e mi fanno prigioniero.  Non 
                                        capisco quello che dicono, ma seguo la 
                                        direzione che mi indicano. Non mi 
                                        stanno portando in una prigione o nel 
                                        loro accampamento, mi stanno indicando 
                                        un muro. Il cuore mi scoppia nel petto, 
                                        il sudore si fa freddo e le gambe tremano 
                                        da sole: non sarò loro prigioniero, 
                                        verrò fucilato sul posto. Non vedo più il mio amico, il fucile. Quello che mi preoccupa di più è che non so nemmeno cosa accadrà alla mia famiglia. Vedo Enrico Bartelloni, detto il gatto. Non ha paura, sa che ha difeso le sue idee e la sua città. Nemmeno io ho più paura. Siamo stati sconfitti, ma i livornesi hanno dimostrato di essere gente che non si piega alla volontà dei nobili e sono sempre pronti a combattere i soprusi. Tra un attimo tutto il mondo non esisterà più per me. Vi prego, fate in modo che quello che è successo in questi giorni non venga dimenticato. Antonio  | 
      |||||
| 
           | 
      |||||
|  
           Edizione 
            IL QUINTO MORO 
        LIVORNO MAGAZINE © 2007/2012 - Periodico di Informazione Aut.ne Tribunale di Livorno n° 3/07 del 13.02.2007 - Vietata la riproduzione anche parziale Web design by EmmesseCommunication © 2007/2012 - Tutti i diritti riservati .:. All right reserved  | 
      |||||